Ringrazio. Do un saluto a tutti. Mi avete ringraziato oltre i limiti. Posso dire pubblicamente: ringrazio per l’invito, ma devo anche dire che avevo avuto un momento di coincidenza con un altro impegno che mi aveva fatto gettare la spugna dicendo: questa volta non posso venire. E ringrazio pubblicamente Scoppola che con una telefonata fatta nel mio ufficio proprio mentre ero assente per un altro impegno di questo genere, insistette molto. Io ho detto: vengo, obbedisco, perché di fronte a insistenze così autorevoli… Quindi devo anche dire un grazie in più per essere qui. Non farei un complimento inutile perché non serve a nulla.
Ho ascoltato veramente con emozione. Ho ascoltato con l’attenzione di uno che desidera sempre di imparare, e ho ascoltato delle vere lezioni da ciascuno di voi. Quindi il grazie è sentito ma è anche molto affettuoso.
Nelle cose che cercherò di dire, senza abusare, c’è una mia mentalità. Non posso dire, che è una mia deformazione mentale. No, non è una deformazione. È un modo di concepire la politica.
Il mio modo di vedere queste cose con visione molto personale, quindi molto limitativa; modo di enucleare qualche punto di quelli che sono i bilanci positivi di questa Repubblica, che è “la” Repubblica: non è la prima, la seconda, la terza – queste cose mi danno fastidio alla pelle. È “la” Repubblica con la sua Costituzione, con la sua storia e col sangue che è stato versato per pagare la libertà.
Ecco, le cose che dirò hanno al fondo un punto, e vengono da chi è da 55 anni nella vita politica. Io vedo questa riunione, questa discussione, questo dibattito, lo vedo inserito oggi, nella realtà di oggi, nei pericoli di oggi, nella situazione estremamente difficile, e in larga parte artefatta, con cui il popolo italiano fra qualche settimana va a fare una scelta estremamente difficile.
Il resto è importante, ma non vorrei mettermi a fare discorsi, mentre può venire il soffitto in testa. Se a qualcuno sembra eccessivamente drammatico, sappia che io sono tenacemente ottimista. Non mi sento mai di dare vittoria a nessuno fino a quando non ho vissuto le vittorie di qualcuno che per me cittadino rappresenterebbero la sconfitta.
Allora… allora facendo un percorso rapido: il crollo della dittatura fascista, la guerra, la fuga del re, lo sbriciolamento dello Stato. Una dittatura che è caduta per una serie di “no” che le sono stati detti. Ciascuno di questi fortemente pagati. Metto anzitutto quel “no” che non sempre si vede – è stato già citato poco fa, molto bene, da Scoppola – quel “no” di ogni cittadino, che a un certo punto sente di vivere un sopruso, che gli manca il respiro della libertà, che non accetta. Si, certe volte sconcerta, dà quella sensazione che pare viva dell’ultima battuta: “la sai l’ultima”. Noi giovani, studenti, poi universitari, poi sotto alle armi nel momento della guerra, noi, sentivamo questo, e ci sembrava già allora che molti si sentissero… “ho servito la libertà”, accettando tutto, raccontando l’ultima nell’orecchio di qualcuno.
Ma se si dà uno sguardo un po’ più alto… questo popolo che poco alla volta non accetta. Non accetta di subire. E quindi prendono luce particolarmente forte i grandi nomi. I nomi che si sono impegnati dall’inizio non hanno ceduto mai! La lotta clandestina, del mondo della cultura, del mondo della capacità di dialogo, del mondo del pensiero, del mondo dello studio, che poi diventa azione. La lotta clandestina. I combattenti sulle nostre montagne, nelle nostre città, ovunque, per la libertà. Con quelli che sono caduti. Ancora stamattina, scambiando due parole, a chi ricordava un ufficiale delle terre del Sud venuto a morire al Nord per la libertà, io ricordavo delle terre della Provincia di Novara i due fratelli Di Dio, ufficiali di carriera, militari usciti da pochissimo dall’Accademia: due medaglie d’Oro al valore e alla memoria. Fino a quando sono stati al mondo i genitori venivano dalla Sicilia a ogni cerimonia, con questo padre che aveva queste due medaglie d’Oro che ogni tanto accarezzava, sembrava che accarezzasse ancora il capo dei suoi figli. Il no della resurrezione dell’esercito. Il no dei prigionieri di guerra, della non collaborazione. Mi ritorna in mente il volto di fraterni amici che non hanno ceduto mai. E molti per non cedere non sono tornati.
E sul crollo, e su tutto, l’Italia risorge libera e Repubblicana: 2 giugno ’46, Assemblea Costituente. La scelta della Repubblica e i 555 eletti per scrivere la Carta Costituzionale, con dei filoni culturali così lontani, pochissimo coincidenti. Il filone marxista-leninista, il filone laico liberale, repubblicano – allora poi nelle organizzazioni parlamentari e partitiche, azionista, demo-laburista, il partito repubblicano si chiamava repubblicano-storico – il partito dell’uomo qualunque, che esprimeva così una voglia di partecipare in qualche modo, non riuscendo ancora forse ad avere enucleato delle idee chiare, ma prendendo qualche spunto fondamentale.
Assemblea Costituente che nasceva col suffragio universale: per la prima volta col voto alle donne, per la prima volta! Il discorso di Vittorio Emanuele Orlando all’inaugurazione il 25 di giugno 1946 nell’aula di Montecitorio diceva: per la prima volta, il popolo italiano, nella sua storia, ha votato e ha qui un’assemblea che lo rappresenta.
Oggi ogni tanto, da capo, si sente parlare che ci vuole un’Assemblea Costituente. L’Assemblea Costituente del 1946 non fu una scelta libera. Fu una scelta obbligata. Perché nel crollo totale di una realtà giuridica, costituzionale – istituzione costituzionale della dittatura caduta con la dittatura, Statuto Albertino anche lui sbriciolato un pezzo per volta – c’era un popolo che chiede di sapere che cosa è. Il quadro storico impone un’Assemblea Costituente. Se non c’è questo non c’è motivo. Lo so che è un tema molto discusso. Ho diritto di dire il mio pensiero che non è cambiato mai.
Poi ogni tanto si avrebbero stratagemmi superficiali per superare e trovare un’intesa con un settore, o un altro, politico. Non è pensabile che queste siano soluzioni che possano nascere da stratagemmi per una maggioranza. Non è pensabile!
Così come, caro Presidente della Toscana, così come – ma questo esce chiaramente dai discorsi che sono stati fatti – ci sono temi, cose, questioni che possono essere discusse riviste, ridiscusse e riviste cento volte. Ma ci sono di quelle che non possono essere discusse, a meno che si voglia fare un altro Stato e un’altra pagina. Non so se esista un’alternativa di questo genere su fondamenti di democrazia e di rispetto dei diritti della persona umana.
Lasciatemi anche dire una battuta. Certamente nessuno di voi pensa che la mia presenza all’Assemblea Costituente – dove sono arrivato è vero già magistrato e già con piaghe mie e altrui sull’anima… però a 27 anni, l’esperienza, per intensa che possa essere, dolorosa e faticosa, è un’esperienza di chi non ha ancora compiuto i 28 anni di età, figuriamoci! – … la Carta Costituzionale è merito delle grandi figure, dei grandi padri, delle grandi menti che c’erano all’Assemblea Costituente; per noi giovani – per me certo – è stata una grandissima scuola. Ma guai a pensare che vi siano parti della Carta Costituzionale… Il professore ha citato quell’ultimo articolo, che è formidabile, sulla non possibilità di mettere in discussione la repubblica, che non è la cornice della democrazia nella quale vive la realtà, ma è il quadro della sostanza, di tutta la sostanza. Tutte le volte che per qualche motivo, con le migliori delle intenzioni, si ritiene di poter mettere in discussione i principi che non possono essere discussi, si determinano danni seri, anche soltanto facendo capire – presidente Martini ha ragione – facendo intendere che tutto sommato si può trovare una qualche soluzione a un tema che può essere discusso. Su questo la chiarezza deve essere assoluta.
Io – scusate agli accenni personali – ho chi mi spara sulla schiena ancora oggi, con entusiasmo… è un mestiere anche quello. Per aver detto una volta a chi mi ha chiesto… dopo che il suo governo era andato in minoranza, e quindi si era dimesso – nessuno l’aveva costretto a dimettersi – mi fu chiesto: scioglimento, elezioni, e le elezioni le faccio io col mio governo; e quindi un aumento di domanda: ti ho fatto 3 richieste, cosa mi rispondi? Faccio un accenno che non muta una virgola il colloquio di quel giorno: rispondo con tre “no”, perché questi “no” me li impone la Carta Costituzionale sulla quale ho giurato. Altrimenti darei un appoggio incredibilmente iniquo, che incappa in una norma penale per il capo dello Stato, di favorire marcatamente un settore politico contro un altro… Penso che non sarò assolto neanche fra qualche centinaio di anni. Ma, fossero tutti qui i miei peccati!
I primi passi della Repubblica e quindi della democrazia, sono stati passi di una larga solidarietà politica, fra tutti coloro che avevano detto “no” al fascismo. Devo dire che si è constatato che non è facile fare un cammino lungo se il vincolo è soltanto o quasi soltanto del “no” perché occorre un patrimonio di “si”. E in quel momento – lo dico, è un tema quello che sto toccando, che merita trattazioni, meditazioni – ci siamo trovati in una democrazia che aveva, per così dire, due denominatori comuni, due tentativi di denominatori comuni, che si intrecciavano, e che facevano una gran fatica a convivere. Un denominatore che sentiva come indispensabile l’esigenza di un concetto eguale di libertà, un concetto eguale di democrazia. Per giungere quindi ai diritti inviolabili della persona umana. E un denominatore che cercava, veramente disperatamente a volte, di fronte a delle situazioni di palesi ingiustizie, di fatica del mondo, della parte di popolazione più ferita nella giustizia sociale, un denominatore nella giustizia sociale.
Nella prima parte ci fu un punto di frizione, di distacco da un mondo marxista. Nella seconda parte vi fu un punto di frizione e di distacco con un mondo liberale e un’assonanza molto più forte con un socialismo umanitario, riformista. In quella realtà – anche questo è già stato ricordato logicamente – i voti, che in democrazia sono quelli che contano, i voti, la fiducia più alta, era stata data alla Democrazia Cristiana di De Gasperi – mi piace questa sottolineatura – la quale non riusciva a fare una maggioranza totale verso la sinistra per questa frattura su concezione dello Stato, su l’interpretazione della libertà nel senso più ampio, più completo nei diritti della persona, né riusciva verso la destra a fare una maggioranza per quanto riguarda il tema della giustizia. È una constatazione.
Perciò, divisione sul crinale della democrazia e della libertà; divisione e fatica sul crinale della giustizia. Eppure, scrivendo la Carta Costituzionale, questa divisione fu fortemente, gloriosamente superata.
La Carta fu scritta insieme da questi filoni culturali che all’inizio erano anche chiusi in torri quasi impenetrabili, ma era spiegabile. Ben pochi erano i personaggi presenti all’Assemblea Costituente, che, per ragione di lotta clandestina o di lotta in montagna, avevano già sostenuto largamente dialoghi e rapporti di reciproca stima e di affetto fra rappresentanti di schieramenti lontani.
Pochi, gli altri, noi stessi cattolici, venivamo da una preparazione culturale, ma che non aveva alcuna abitudine al dialogo con, chiamiamolo, l’avversario. Quelli che avevano una preparazione maggiore di un dialogo molto diverso, erano quelli che vivendo in settori dove c’era una religione minoritaria – protestanti, valdesi – e non chiudendosi in forme incredibili, che se sono negative sempre, quando sono di espressione religiosa sono veramente inintelligenti, avevano una abitudine a dialogare, a rispettare di fatto, non teoricamente, il pensiero dell’altro. A rispettarlo chiacchierando, e poi andando sottobraccio a mangiare qualche cosa, a bere un bicchiere, o a un divertimento, sentendo cioè che l’amicizia, l’intesa, il patrimonio umano, non soffriva nulla, anzi si arricchiva da posizioni diverse.
Dovevamo incominciare una scuola che nacque lì. Se ringrazio Dio di qualche cosa, è che la mia amicizia con i personaggi, vorrei dire, più marcatamente battaglieri dello schieramento comunista, mentre eravamo veramente nelle piazze, ovunque, in contrasto, l’amicizia, l’intesa umana, nacque lì. Ne ringrazio Dio! Perché per me è stato un arricchimento e lo è tuttora.
Non apro questa pagina che sarebbe lunga – io ho sempre detto che: certo, si è scritto insieme. Ma si è scritto insieme perché? Ma perché avendo detto “no” al fascismo evidentemente c’era un “sì” che era il corrispettivo di quei “no”.
Professore, quando lei ci ha ricordato, in modo affascinante, questa nascita di costituzioni in quest’Europa, mi ha fatto pensare ancora una volta che di fatto sono nate avendo prima detto un “no” alla dittatura. Tanto che a volte ho detto: ma possibile che ciò debba essere quasi obbligatorio per poter capire bene che cos’è democrazia e per poter intendere che al di là di schieramenti filosofici, schieramenti religiosi, il denominatore comune è uguale, ed è schierato per l’uomo che è al centro di una Carta Costituzionale. Ma veramente è indispensabile, è tragicamente indispensabile, che si debba fare un bagno terribile in una dittatura? Che l’uomo per poter dire un “sì” debba ad ogni costo provare di dover finalmente dire, maturato e pagato, un “no”. Sembrerebbe di fronte all’intelligenza umana che non dovrebbe essere così.
Ancora un ricordo – purtroppo quando si è centenari i ricordi sono un po’… affaticano anche il pubblico, ma chiedo di essere assolto –. Io ho ricordato più volte – perché questo non mi si cancella dalla mente – che l’Assemblea Costituente discuteva anche i fatti politici. Il potere legislativo era svolto dal Governo, l’Assemblea aveva un suo controllo. Nel discutere i fatti politici, io ricordo quando la prima volta dei comunisti scesero per picchiare. Io provai un’impressione! Venivo da udienze di processi terribili, ma anche nella dialettica più dura… Venivo da comizi in piazza – la piazza ha regalato a noi una quantità umana incredibile – non accuso la televisione – ma questi mezzi moderni non riescono a dare nei dialoghi e nei confronti fra gli uomini politici questa quantità umana. Quante volte ho ripensato che il patrimonio – a mio avviso il più forte, ma questo è il mio pensiero personale – un patrimonio forte di questa capacità di scrivere insieme e di superare i momenti di mischia in aula che a volte c’era stata al mattino, con una seduta separata… Gli stessi uomini che al mattino avevano tentato di mettersi le mani addosso, o che se le erano messe… mai si lanciavano ingiurie insinuanti l’uno con l’altro, mai! Gli stessi uomini, nella seduta successiva, scrivevano insieme la Carta Costituzionale, per servire il popolo italiano. Questa lezione che ci hanno dato i maggiori, sotto il patrimonio immenso – stavo dicendo – della comune sofferenza di chi aveva vissuto insieme nei campi di internamento, in montagna combattendo, nella vita clandestina. La sofferenza che è un patrimonio umano incredibile, che bisognerebbe riuscire a trasmettere ai giovani, perché mi rendo conto che non è facile con la Carta in mano, a pensare che cosa c’è sotto, di umana ricchezza, di umano prezzo.
Poi la divisione si manifestò chiara nelle scelte di politica estera. Da una parte De Gasperi che impostava il suo discorso – quante volte mi viene fatto, stando al Senato, di fare qualche confronto. Grande quadro di politica estera con le scelte di alleanza coi popoli che credono nella libertà. Scendendo da questo quadro alla politica interna con il denominatore comune fra i partiti e gli schieramenti che credono nella libertà. E questa divisione, perché l’opposizione si rifaceva a Mosca, si rifaceva al soviet, si rifaceva al Patto di Varsavia. Le due scelte: Patto Atlantico…
Ebbene, il periodo non fu breve, ma malgrado questa scelta, il dialogo fra maggioranza e opposizione non è stato interrotto mai. Anche nei momenti più aspri, più difficili, non è stato interrotto mai, né è stato interrotto il rapporto umano, che è sempre la pagina più ricca della vita politica, e che si fa fatica oggi a ripescarlo nella realtà nella quale viviamo.
Fino a quando arrivò l’autonomia del Partito Comunista Italiano, con Berlinguer – una pagina storica forte. Ma io ricordo un’altra pagina, perché questa mi toccò molto, molto affettuosamente anche, dopo il “no” marcato e motivato da parte della Sinistra all’Europa: quando, prima ancora che ci fossero delle elezioni dei deputati europei dalla base, e quindi scelti ancora dal Parlamento, partirono per Bruxelles i primi colleghi del Partito Comunista e Socialista, insieme a quelli delle altre parti.
Furono due momenti di enorme rilievo. Poi la caduta dell’impero sovietico, crisi dell’ideologia. Quel secolo XX ha presentato una realtà che non c’è che constatarla e pensarla, meditarla: gli imperi sono caduti sempre con una sconfitta militare, sempre! Però la caduta dell’impero sovietico non ha avuto con sé una sconfitta militare. Ha avuto un forte ripensamento di impostazioni di fondo, per cui vale la pena di esaminarlo. Poi, bisogna non farsi prendere dalle dichiarazioni, che non hanno aggettivazione che possa qualificarle, di chi annunziò – 1964 – il popolo italiano mi deve già essere grato perché io l’ho già liberato dal comunismo. Che è una bella cosa, insomma, perché poi può darsi che più avanti ci sia anche qualche altro merito alle Termopili, ma i meriti grandi non vengono presentati tutti in una volta, è vero… Le persone coraggiose presentano i loro meriti a rate.
Quanti passi si sono fatti intanto per il grande processo popolare che si muove per le affermazioni di giustizia sociale. Certo, è un campo questo dove quello che c’è da fare rimane sempre di una quantità e di uno spazio incredibili. Ma quanto, quanto si è trovato d’intesa fra ciò che hanno affermato, in particolare in quel secolo XX, le encicliche dei papi, dalla Rerum Novarum alla Centesimus annus. Quanti passi! Quanti punti d’intesa proprio su quelle norme che prima di essere chiamate cristiane sono di profondo valore umano.
I diritti dei lavoratori. Rileggevo ancora giorni fa le pagine della Rerum Novarum di Leone XIII. Le parole durissime che condannano la situazione pressoché disperata dei lavoratori della terra. Ma io ricordo ancora fino all’Assemblea Costituente e qualche anno dopo, la situazione dei salariati delle nostre zone del Nord, che provenivano moltissimi dalle terre più povere: Ferrara, Rovigo. Gente che si muoveva ogni anno con un carretto pagato a prestito e spinto dalle persone stesse, con sopra una o due reti metalliche, una stufa di quelle che, mettendo la legna, diventava rossa e appena il fuoco si spegneva si era al gelo. Con i bambini appresso, passando da una cascina all’altra. Quando Leone XIII parla di questa folla di persone nella ingiustizia, parla di pochi troppo ricchi di fronte a questi sfruttati, con un linguaggio che farebbe venire i brividi ancora oggi, e che sono un richiamo per noi cosiddetti cristiani; il cosiddetto vale per me.
I diritti dei sindacati. Il dialogo dei sindacati con gli imprenditori e con il Governo. Come ricordo i momenti in cui c’era la rivendicazione che il dialogo si allargasse alla scena politica, no?: voi dovete trattare soltanto quella rivendicazione e quell’altra. Poco alla volta, lasciando a intendere che più rivendicazioni, specie quelle che toccavano ampio popolo, rappresentavano veramente uno squarcio serio di realtà politica, che si inquadrava quindi nella politica generale.
E la riforma agraria che è stata citata. Grandi passi di progresso sociale e discussioni ancora, non certo lontane e che torneranno sempre, sullo stato sociale. Ma è Stato, e Stato nel senso vero e democratico, uno che non sia sociale? Cioè che non pensi alla gente, che non abbia la solidarietà, che non abbia la quantità umana?
E poi, la caduta dei muri. La Quercia. Non è una pagina piccola nella storia, non è una pagina piccola! Io ricordo il mio amico Paietta quando con una certa sofferenza però accettò questo passaggio e diceva: vedo cadere taluni principi nei quali ho creduto. Ma dimostrando l’intelligenza pulita di chi accetta e riconosce che c’è un passaggio, vorrei dire, di umanizzazione, che aumenta il denominatore comune. Si, certo, si fa in fretta anche da parte di qualche ambiente, e crea pena di sentire: ah non è cambiato nulla, il comunismo è sempre lo stesso. Nessuno schiaccia un bottone e cambia la testa alle persone, perché io non schiaccerò mai un bottone che cambia la mia. Ma negare questi grandi passaggi, queste maturazioni, queste evoluzioni, è veramente negare la verità che si conosce e si constata.
Poi, poi la caduta dei valori morali. E questo dobbiamo riconoscerlo perché è stato così. Poi il discorso della Magistratura che può avere fatto passi e in certi casi li ha fatti oltre. Ma non possiamo negare che purtroppo c’è stato il momento in cui la politica ha dimostrato – se era politica – ha dimostrato la crisi etica, che è la crisi più dura. Ma doveva pure a un certo momento scoppiare. Doveva scoppiare per il fatto che la politica parte necessariamente dal pensiero. Poi se rimane pensiero sarà una pagina di altissimo rilievo che può influire sulla politica. Ma se non si traduce in realtà, in programmi, in voti, per realizzare quei programmi, non può essere politica. Ma guai se non parte dal pensiero.
Ma a un certo momento, per molti, la politica era soltanto potere. E questa è la deformazione peggiore: potere fine a se stesso è il male maggiore che si possa fare a un popolo. E questo portò alla crisi del mondo, della presenza, dei cattolici in politica.
A un certo punto nacquero le grandi – le grandi… – divisioni di oggi. Io non vado certo a giudicare le intenzioni delle persone. Non è compito di nessuno di noi. Però vi è un interrogativo, ho il diritto di porlo: se la presenza dei cattolici in politica vuol dire portatori di principi e valori cattolici, c’è possibilità, c’è spazio per essere portatori di principi e di valori cattolici, portando insegne e voce e presenza sotto l’ombrello di chi è infastidito da una pioggia di miliardi? È un interrogativo che merita di essere posto e merita forse anche una risposta.
Oggi si dice: c’è confusione. Perché c’è una grande assenza di politica; c’è un’assenza di pensiero. Mi pare che sia vero.
I partiti. Tema che è stato toccato. Io non dimentico quando ho iniziato la mia esperienza cosa voleva dire, non “il mio partito della Democrazia Cristiana”, “i partiti”. Noi andavamo a volte alle riunioni degli altri per sentire la discussione, i principi, i valori, per rispettare il pensiero degli altri. E conoscendolo, saperlo rispettare meglio, magari confutare meglio.
Occorre, ripeto, che il cittadino riesca a riprendere a pensare politicamente. Ma chi lo aiuta? I politici? Perché, certo, è dovere dei politici ragionare politicamente per scegliere politicamente, ma anche i cittadini hanno diritto di ragionare politicamente per scegliere politicamente. Bisogna che riprendano i valori fondamentali della democrazia. Quelli, senza dei quali, democrazia non c’è. Che sono i valori della persona, certo. Ma occorre oggi un no irrevocabile alle passate degenerazioni; un no irrevocabile! Per chi ha sbagliato, per chi ha portato tanto danno anche al concetto di partito, dando forza a chi distrugge ogni cosa. E poi fa un partito che non è partito, ma che dovrebbe avere la stessa capacità di competenza dei partiti.
Non si chiede che chi ha sbagliato faccia un pubblico mea culpa. Ma neppure si chiede che si cerchi ad ogni costo la rivalsa. Tornando con le stesse degenerazioni per continuare. Ma dice il falso chi poi dice che tutto fu sbagliato, tutto fu male. Troppo comodo per essere vero.
E un altro elemento fondamentale è rispettare la storia. Certo, senza eccessi, senza accaparramenti, senza esclusivismi, senza monopoli, ma senza mistificazioni! E ce ne sono oggi non poche. Il rispetto del vero col riconoscimento degli errori. Ma gli errori non si riconoscono compiendone degli altri, anche peggio. Tiro i remi in barca e anch’io vi chiedo scusa.
Dunque la Repubblica in mezzo secolo ha presentato grandi successi sui valori essenziali. Non vi è dubbio alcuno! E non facciamoci prendere dall’ondata di fango che si vuole, con questo, seppellirli, questi valori e questi successi.
Ha attuato e difeso la democrazia e la libertà. Ha difeso la pace, con le scelte internazionali, sui quali temi a un certo punto, ha convenuto anche l’opposizione più accanita, e ha convenuto con ragionamenti, non con imposizioni.
La Repubblica, con i fatti, ha aiutato i cittadini a vivere in democrazia e in pace. Purtroppo molti di quelli che ritengono che si parta sempre da zero, pensano che democrazia, libertà e pace siano piovute in testa come doni gratuiti, senza che ci siano state persone che hanno lottato per riconquistarli e hanno pagato per insegnarli.
Si può fare una domanda: di fronte a questa Repubblica che ha vissuto questi valori, con errori e fatiche, ma li ha vissuti e li ha insegnati, sono stati tutti scolari diligenti, hanno imparato tutti? Questa grande trasformazione ha avuto la fatica enorme della crisi dei valori etici. E la politica senza l’etica non è nulla: non è politica, non è niente, è solo danno, perché vengono meno gli ideali e i punti di riferimento. Allora, può essere vero, certo, che oggi c’è assenza di politica, c’è confusione, e il metro della valutazione, anche delle persone, è il denaro.
Crisi di verità! O si reagisce a tutto questo, o si muore politicamente… o si muore politicamente! Non si è cittadini degni della libertà! Vorrei dire a me stesso, e dovremmo dire, non certo a voi che siete qui per queste ragioni, ma a chi ha bisogno di sentirselo dire di poterlo vivere: è tempo di svegliarsi! È tempo di prima linea! È tempo di prima linea!
Purtroppo la realtà nella quale si vive non ha la forza che aveva la terribile realtà. Mi viene ogni tanto il fatto di ripensare a quell’ultimo inverno, prima della liberazione, che sembrava che non finisse mai, e nel quale la tentazione più acre era di dire: ma forse non arriveremo, forse non spunta l’alba. Eppure è spuntata. Ringraziando la Provvidenza per chi ci crede, e per tutti ringraziando gli uomini che per questo hanno lottato.
È tempo di svegliarsi e di prima linea, se vogliamo almeno essere degni della storia e della memoria che noi difendiamo.
Grazie.